Introduzione

"Come scrittori di romanzi non siamo capiti".
Introduzione di Ugo Gugiatti a "L'uomo delle taverne", romanzo del Pinchet

mercoledì 6 marzo 2013

Daniele Tenca - Wake Up Nation - Anno 2013

Daniele Tenca ha centrato il disco migliore della sua ancor giovane carriera col durissimo “Wake Up Nation”. Un disco blues, radicale, netto, senza fronzoli, basato sulle chitarre e su una voce cresciuta, maturata al sole del rock delle radici. “Dead and Gone” apre il sipario e subito sembra un ululato degli schiavi dell'America che fu, ha l'andatura della marcia sotto il sole dei carcerati incatenati. Bellissima e ruvida, chiusa da un'armonica blues veramente straziante. Con “Big Daddy” si approda al rock, territorio da sempre amato da Tenca e, almeno nel titolo, si omaggia John Mellencamp. È una rock song nel più classico stile americano. Una delle poche cose orecchiabili di un album molto impegnato. “What Ain't Got” torna al blues più classico. “The Wounds Stay With You” è una ruvida ballata elettrica che si apre in un ritornello ampio, sorretto dalla voce sempre più roca del cantautore milanese. “Silver Dress” è una struggente ballata acustica, romantica, voce stavolta sottile, batteria e chitarra in evidenza. Ricorda moltissimo Neil Young. “Default Boogie”, di cui è stato girato anche un bel video, è il blues che guarda in faccia alla crisi di questi tempi durissimi. Con “Last Po' Man” (Seasick Steve) si resta al blues chitarristico, elettrico, più scarnificato e denso di significati, mentre “What Did You Do?”, nell'incedere tipicamente blues abbraccia il rock e diventa trascinante, persino ballabile. La title track è una sorta di appello alla nazione, “Wake Up Nation”, rialziamo la testa. La dylaniana “It's All Good” è l'ennesimo blues, sorretto da un giro chitarristico ripetuto all'infinito e da una voce sussurata. Chiude il disco “Society” di Jerry Hannan, luminoso episodio acustico, chitarra e armonica: fantastica. Omaggia ovviamente Eddie Vedder e il film “Into the Wild”. La particolarità di questo album è il fatto che sia aspro e brusco, asciutto, incazzato nero. Ci sono dei riferimenti, ma nel complesso Tenca ha saputo tessere una tela molto personale proponendo alla fine un lavoro omogeneo, blues che saltuariamente strizza l'occhio al rock. Un album come se ne sentono pochi di questi tempi. Seduto in macchina sotto uno dei primi soli primaverili ad ascoltare il disco e a scrivere queste note, penso che mi impegnerò al massimo per portare il mio amico Daniele Tenca a suonare in Valtellina.