Introduzione

"Come scrittori di romanzi non siamo capiti".
Introduzione di Ugo Gugiatti a "L'uomo delle taverne", romanzo del Pinchet

lunedì 6 giugno 2016

BRUCE SPRINGSTEEN - DUBLINO, 27 e 29 maggio 2016

 

Quando vedi 80mila persone scatenarsi insieme su Sunny Day, Born in The Usa, The Rising e Dancing in the dark, intuisci, anche se non sei un genio, perchè Bruce abbia deciso di imbarcarsi nel quinto tour consecutivo praticamente uguale ai precedenti (li ricordo; Magic, Working on a Dream, Wrecking Ball e High Hopes), e questa volta senza nemmeno un disco nuovo da proporre. E' successo nei due show, straripanti come sempre, del Croke Park di Dublino gli scorsi 27 e 29 maggio. C'è poco da fare, i seguaci “duri e puri” che lo vorrebbero indirizzato verso qualcosa di più intimo, più aderente all'anagrafe e magari più di culto, devono arrendersi alla superstar internazionale, che a 66 anni ancora riempie gli stadi di tutto il mondo moltiplicando di volta in volta i suoi nuovi fan, sia pure occasionali. E in tempi di crisi in cui dischi - colpa anche della tecnologia - non ne vende più nessuno e in cui lo show dal vivo tiene in piedi l'intero business musicale, cosa si può sperare? E' uno dei pochissimi che ancora può fare incassare milioni a staff, organizzatori, città in cui suona e persino qualche spicciolo alla tribute band che si esibisce nella stamberga fuori dallo stadio, e allora come fermare una macchina così redditizia? In più si diverte ancora, non è diventato una macchietta come altri, rimane saldo e degno sul trono del rock e sfodera scalette sempre diverse e sempre più lunghe, con una E Street ancora in perfetta forma. Quindi non resta che arrendersi, e goderselo l'ennesima volta nella versione mainstream. Anche perchè, ammettiamolo, in uno stadio da 80mila persone i seguaci raffinati e colti, quelli che hanno il libretto dei testi Arcana consumato e sottolineato a casa, quelli che c'erano a Zurigo '81 nel vero tour di The River, quelli che erano abbonati a Follow that Dream di Ermanno Labianca e ne conservano le copie in una teca di castagno, o aspettavano l'uscita mensile del Mucchio Selvaggio come l'arrivo del messia, quelli che hanno fatto chilometri in tutto il mondo non solo per vedere lui, ma anche per vedere suoi amici a cui lui ha scritto mezza strofa, quelli che se non entrano nel Pit sentono le convulsioni per tutto lo show, quanti sono? Il 10%? Forse, se va bene. Il concerto nello stadio è fatto per gli altri, per quelli che manco sanno i titoli, per le belle ragazze in reggiseno a bandiera americana sulle spalle del pirla di turno, per i genitori che sognano di vedere il proprio pargolo cantare Sunny Day con lui, per quelli che vogliono poter dire di averlo visto una volta, per quelli che vanno serenamente sugli spalti e durante la prima ballata escono a pisciare perchè si annoiano. Ed è già tanto che lui li accontenti solo per una parte dello show, impreziosendolo comunque sempre di cose assolute. E anche se a noi stanno follemente sulle palle perchè siamo gelosi come coala in calore di lui, dobbiamo abbozzare.
Certo avevo facilmente pronosticato in gennaio che la proposta di tutto The River dal vivo sarebbe scomparsa all'ingresso negli stadi, e questo è avvenuto. Impossibile una sequenza di ballate del genere davanti ad almeno 70mila persone che l'unico Bruce di cui hanno minimamente sentito parlare è quello con la bandana in testa che canta l'orgoglio americano... Purtroppo però il fare tutto quell'album a celebrazione del cofanetto era l'unica mossa che poteva giustificare l'intero tour, come accaduto in Usa. In questo modo invece, appare semplicemente un tour greatest hits, in cui anche il progetto The Ties that Bind è già stato dimenticato. E di cui, lo dico a malincuore, si poteva fare a meno. A beneficio magari di qualcosa di nuovo.
Detto questo, appare ormai inutile commentare gli spettacoli, da Roulette a Back in your Arms a Lost in the Flood fino a Incident o Point Blank - per citarne solo alcune delle memorabili proposte nelle due serate irlandesi - è stato come sempre superbo. Addirittura ci si è chiesti cosa si sia portato in giro a fare tutti quei fiati e quei cori nei passaggi precedenti, dato che con la E Street al naturale non si sente minimamente la differenza. Certo c'è meno soul, ma alla fine non ce n'era molto nemmeno nel 2013. Resto scettico sul nipotino d'arte Jake, che non sarà mai Clarence nonostante il grande impegno, ma per il resto siamo sempre alla pura magia. E la voce del Boss sembra essere invulnerabile al passaggio degli anni.
Annoto, a margine, che i prezzi dei biglietti sono cresciuti a dismisura rispetto al 2013. E' ovvio che col moltiplicarsi delle richieste, soprattutto per il prato, crescono i prezzi. Che sono comunque eccessivi per un concerto, nonostante tutte le star internazionali ormai veleggino su quelle cifre, se non oltre. Forse però Bruce, paladino dei perdenti che annulla uno show in North Carolina per i sacrosanti diritti gay, potrebbe metterci una parola per arrivare ad un tetto massimo. Segnalo che va allargandosi a macchia d'olio anche in Europa (ma all'Italia rimane il primato incontrastato, per San Siro dovrei andare a piazzare una tenda domani e mettermi in aspettativa dal lavoro) la follia delle code per accedere al Pit, con appelli e distribuzione numeri che ormai iniziano due o tre o quattro giorni prima del concerto. E' tutto frutto dell'isteria collettiva e della moltiplicazione dei fan ad ogni tornata. Se ogni fan si vuole portare nel Pit morosa, cugino, zio e nipote dentista del cugino di sua nonna... La cosa certa a mio avviso è che sarebbe più opportuno imitare Svizzera o Germania, dove il biglietto Pit te lo compri pagandolo di più, e il giorno del concerto ti puoi godere la città invece che stare a bivaccare intorno a uno stadio. Ma sono solo pensieri miei, ovviamente.
Tutte queste considerazioni però non possono discostarci dalla domanda successiva. Nonostante il tour sia solo all'inizio e l'uragano debba ancora abbattersi su Milano (facile prevedere i due concerti più lunghi ed epici di sempre); quale sarà il passo successivo? Perchè pur facendo pace con tutte le precedenti scusanti, adesso è ora che un artista dello spessore e del livello di Bruce Springsteen regali un'altra volta qualcosa di immortale. E non parlo necessariamente di un disco acustico con conseguente tour teatrale, cose che peraltro ha già avuto il coraggio di proporre in passato. Di strade ce ne sono tante e persino un disco rock scarno e asciutto suonato dalla sola E Street (senza nemmeno il violino di Soozie e i coretti di Patti) e portato solo nei palazzetti potrebbe essere una di quelle. Per non parlare di una formazione minore, del disco gospel di cui si dice da tempo o della possibilità soul che la performance vocale definitiva sfoderata su Back in your Arms al Croke Park mi ha caldamente suggerito... Chissà quale sarà la mossa dopo la fine del giro ad agosto in America. Perchè la cosa certa è che l'album ci sarà, forse già entro la fine dell'anno, e il tour successivo pure. E dopo cinque tour sostanzialmente uguali, è tempo di spiazzare tutti. A 67 anni è il momento di fare qualcosa che rimanga nella storia. Parlo ad esempio di quello che l'ultima volta fece 10 anni fa con il folk della Seeger Sessions Band. Con buona pace della tettona col reggiseno a stelle e strisce. Perchè adesso noi, che abbiamo consumato vagoni di All Stars per corrergli appresso, ce lo meritiamo.
Ci vediamo a San Siro.

2 commenti:

  1. Analisi lucida e condivisa al 100%. Questo giro l'ho saltato volutamente ma non mi va di criticare l'operato di Bruce e del suo staff. Spero solo che le prossime mosse come ben tu dici abbiano un qualcosa in più a prescindere che siano di impronta Soul o Gospel (secondo me tra quelli della sua generazione Bruce è la voce più soulful) o Americana o Countryoriented. Armando Chiechi

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