Introduzione

"Come scrittori di romanzi non siamo capiti".
Introduzione di Ugo Gugiatti a "L'uomo delle taverne", romanzo del Pinchet

lunedì 12 marzo 2012

Miami & The Groovers - Good Things - Anno 2012


Ecco un album di semplice rock’n’roll senza fronzoli, realizzato da un gruppo di ragazzi italiani - Lorenzo Semprini, chitarra e voce, Claudio Giani, sax, Marco Ferri, batteria, Beppe Ardito, chitarra, Alessio Raffaelli, piano e tastiere, Luca Angelici, basso - che consumano la loro dipendenza dal sogno al sole della riviera romagnola. I Miami and The Groovers con due album e tante belle canzoni, centinaia di sudati concerti in Italia e fuori, anni di passione e chilometri, si sono guadagnati la stima di tutti gli appassionati del genere. Ora danno alle stampe questo “Good Things”, che di certo porta con sé ulteriori elementi di esperienza e mestiere. La title track è un brano rock diretto basato sulle chitarre, come la successiva “On a Night Train”. Ha un certo spessore la storia chitarristica “Audrey Hepburn’s Smile”, più lenta e oscura la pianistica “Cold in My Bones”. “Burning Ground” è il rock che strizza l’occhio al punk inglese, “Walkin’ All Alone”, con Ric Maffoni ospite, ha l’andatura epica della frontiera, con ritornello accattivante e un bel violino finale. “Before your Eyes” è una ballata d’autore. “Always the Same” non aggiunge e non toglie nulla, ma vanta un poderoso assolo finale di chitarra, mentre “Under Control” ci regala armonica e blues. La autocelebrativa “The Last R’n’R Band” invita a fare festa. L’intro di Israel Nash Gripka è una piccola perla che apre alla malinconia di “Postcards”. Infine c’è “We’re Still Alive”, un brano positivo ed energico, che merita una menzione a parte perché esce dal contesto generale ed entra nella tradizione folk irlandese, con fisarmonica, pedal steel e banjo, segnando una decisa incursione in un territorio differente. Beh, se la misura con cui giudicare un disco deve imprescindibilmente essere basata su una manciata di buone liriche, su un sound diretto e ballabile, e soprattutto sul cuore che ci mette chi lo produce, queste caratteristiche in “Good Things” ci sono tutte. Quindi, prendiamoci le ‘buone cose’ della vita e usiamole per tirare avanti, soprattutto in questi tempi bui. Purtroppo il lavoro rischia di perdersi nella inflazionata produzione discografica italiana di questo genere filoamericano, di questo cantato forzatamente inglese, e non si può nascondere la sensazione del cliché. D’altronde inventare cose nuove, oggi, è impresa impossibile, e certo non compito per una buona realtà rock come i Miami and The Groovers.

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